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Il mondo di Facebook non è altro che il mondo così come il mondo è oggi. Facebook è lo specchio perfetto del mondo e, soprattutto, dell’umanità di oggi: un mondo e una umanità sopravvissuti a se stessi. Un mondo e un’umanità perfettamente inutili.
E come tutto ciò che è inutile, questo mondo e questa umanità sono anche dannosi.
Può, dunque, Facebook essere diverso da questo mondo? Ha senso parlare, per contrapporli, di “reale” e “virtuale”?
Ha, dunque, un senso tutto questo? Questo mondo e questa umanità sopravvissuti a se stessi, e quindi inutili e dannosi all’umanità stessa, alla natura e alla vita? Può la natura creare e mantenere in vita qualcosa che sia contrario alla vita della natura stessa? Alla “vita della vita”?*** C’è un senso in tutto questo?
Il senso c’è, ma bisogna cercarlo innanzitutto in se stessi prima che fuori da se stessi. E per trovarlo probabilmente bisogna cominciare a domandarsi se si è in vita o meno, se quella che si pensa essere vita, se ciò che si pensa essere il “vivere” – e il proprio vivere – siano degni di essere vissuti. E bisogna altresì chiedersi se questo interrogarsi sulla propria vita e sul suo senso sia un primo timido, ma autentico segno di vita di un essere umano, del proprio essere propriamente e autenticamente umano. Sono io umano e vivo? Può il mio vivere ed il mio esistere chiamarsi degnamente umano? Questo è l’interrogativo primario e fondamentale al quale occorre dare risposta prima di poter dire e giudicare se tutto ciò che nel mondo, di cui Facebook rappresenta un campione statisticamente significativo, realmente credibile e attendibile, abbia un senso.
Ma soprattutto occorre chiedersi, e dare una risposta all’interrogativo fondamentale del nostro tempo: appartengo io, e in che misura, a questa umanità morente, quando non già morta, oppure c’è in me qualcosa di umanamente e naturalmente inedito che mi rende radicalmente, antropologicamente diverso da questa umanità, sebbene in qualche misura io sia ancora legato ad essa e da essa condizionato e se non, almeno in parte, dipendente.
Ed è realisticamente possibile che esista un’umanità nuova nascente che sia antropologicamente e, forse in modo ancora sconosciuto alla scienza, in parte, e in qualche modo, anche geneticamente mutante e già in qualche suo individuo e in qualche suo aspetto già mutata e già diversa? Un’umanità perfettamente e compiutamente umana? Un’umanità che fin dal suo primo apparire in natura – a quanto afferma la scienza, in Africa – fino ad oggi ha vissuto come un nuovo individuo naturale (e personale) appena concepito – ed auto-concepito… che come tale, ha vissuto la propria gestazione nell’utero materno della Natura?
È possibile che quella che finora è stata chiamata Storia non sia stata altro la Storia di questa gestazione? E, dunque, niente altro che la Preistoria dell’umanità. Una preistoria e una gestazione che cominciano solo oggi a mostrare i segni del proprio essere giunti al termine? E come al termine di ogni gestazione, l’umanità, come un unico individuo personale, sarebbe al momento del parto, con le relative doglie… al momento di transizione tra l’Uomo in gestazione e l’Uomo compiuto nella sua matura, autonoma, consapevole, cosciente e autentica natura.
Era questo interrogativo, forse, che bruciava nella mente di Nietzsche quando affermava che l’uomo che tramonta è l’uomo che sta diventando superuomo? Tramontare significa passare da una condizione all’altra. Quando l’uomo finisce si aprono nuove possibilità.
«L’uomo è un cavo teso tra la bestia e il superuomo» (Prologo di Zarathustra, 4).
Le corrette e veritiere risposte a tali interrogativi sono indispensabili prima di poter dire e giudicare se tutto ciò accade davanti ai nostri occhi, incluso il mondo di Facebook, abbia un senso reale, e quale e di quale natura sia questo senso.
Parlo, naturalmente, e mi rivolgo a chi è capace d’intendere le mie parole, degli altri poco m’interessa: non è ai morti che io mi rivolgo, ma a coloro, molto pochi invero, nei quali il seme della conoscenza – e qui il rinvio è a Giambattista Vico – mostra già i primi segni della sua nuova primavera, del suo nuovo primaverile risveglio e non di una tranquillizzante e anestetizzante illusione di vita, molto più vicina e simile all’agonia di vita di un morente.
pino mercuri
*** Il riferimento è a Edgar Morin, “Il metodo”, Vol. 2: La vita della vita.Cortina Raffaello , 1994 (Originale francese, prima edizione: “La Méthode”, (t. 2) “La Vie de la vie”, Le Seuil, Nouvelle édition, coll. Points, (1985)
P.S. Spero di poter proseguire questo discorso, fin qui appena accennato, sul momento storico che con tutte le sue contraddizioni, con tutti i suoi “mali” e le sue “perversioni”, ma anche con tutto ciò che di costruttivo e creativo sta o ha già realizzato per l’umanità nascente e futura, come soprattutto Internet, la struttura di comunicazione che stiamo qui usando, particolarmente significativa e importante ai fini della sana riuscita del parto, della vita della nuova umanità nascente e ai fini del suo ulteriore sviluppo.